sabato 24 aprile 2010

Sì, però, c’è anche la gente che c’è

Se un marziano passasse di qui (e, a pensarci bene, ogni tanto un marziano passa di qui), non vorrei si facesse delle strane quanto sbagliate idee e cioè che le persone siano per la maggior parte come quelle del mio ultimo – prima di questo – post.
Nonnò, caro mio bel marzianuccio, c’è anche gente che se la vedessi ne vorresti la versione economica e tascabile per portarla sempre con te. Per esempio persone che quando ti ascoltano lo fanno talmente forte che appoggiano i gomiti sul tavolo e il mento sul palmo della mano per farlo.
Persone che ti vien proprio voglia di regalare loro un libro che ti è piaciuto o che te ne regalano uno che è piaciuto a loro.
Persone che se ti chiamano nel cuore della notte non te ne frega un cazzo che è il cuore della notte.
Persone che sanno di buono, come il pane fatto in casa.
Persone che quando ci sono te ne accorgi ma quando non ci sono te ne accorgi di più.
Persone che sanno fare la pasta per la pizza e mica necessariamente con acqua e farina.
Persone per cui la verdura è meglio dei fiori.
Persone che trattano le cose di tutti non come fossero di nessuno ma, appunto, come fossero di ciascuno di noi e, quindi, anche loro.
Persone che non ci sono più ma che quando c’erano, c’erano talmente tanto che io spero solo che ce ne siano ancora di persone così, come quelle che c’erano nel millenovecentoquarantacinque.
Insomma, marziano, ci sono persone che, a volte, quando le incontri, ti sembra di incontrare un alieno.
E, credimi, non devi sentirti offeso.

mercoledì 21 aprile 2010

Sono snob a modo mio

A me quella gente lì, quella gente che porta a spasso il chihuahua con la pelliccia addosso, che afferma “tanto sono tutti ladri”, che dice “la moglie di” o il marito di” come se esserlo fosse un lavoro, che si fa le foto col cellulare quando vede una Ferrari o uno yacht, che scrive “ciò” al posto di “c’ho” e “cio” al posto di “ciò”, che dice che “Bella ciao” non si canta il 25 Aprile, che dichiara che il segreto di bellezza è dormire e bere tanta acqua, che picchia i bambini che fanno i capricci al supermercato, che parcheggia in seconda fila anche quando c’è posto, che dice “gentilissima”, che prende solo la birra piccola e solo una, che “hei, io sto pagando” e allora pensa di aver comprato il cameriere, ecco, a me, quella gente lì fa ridere.
Ma non mi diverte neanche un po'.

sabato 17 aprile 2010

I sogni son desideri

Non lo so. Sarà questo suo post, oppure i commenti a questo suo blog, fatto sta che stanotte ho sognato un gran casino. Un sogno che sembrava un po’ scritto da Vonnegut e un po’ dal Gambero Rosso. No, non perché camminasse all’indietro, Rodari non c’entra. C’era un sacco di gente, davvero un sacco, ma non state a chiedermi chi fossero ‘ste persone ché io i nomi li ricordo poco e io cucinavo sempre, ero sempre lì a sfornare, mescolare, spignattare, riempire, soffriggere, spalmare, assaggiare e comunque poi ci si spostava di continuo: un po’ si era nel deserto – lo so perché la crema pasticcera è venuta tutta granulosa -, un po’ si era in montagna e l’acqua non bolliva mai, un po’ si era in tanti posti diversi che non sto qui a dirvi anche perché io i nomi li ricordo poco. E nulla, finiva che io stavo preparando delle scaloppe alla salvia, che poi non so nemmeno se esistono le scaloppe alla salvia in natura, e forse è finito il gas perché mi sono svegliata. E mi è venuta una gran voglia di mangiare scaloppe alla salvia che nel sogno non si chiamavano così ma non state a chiedermi come si chiamassero perché io i nomi li ricordo poco.
I nomi.
I sapori, invece, li ricordo benissimo.

martedì 13 aprile 2010

Superando i venticinque. Di poco.

Circa venticinque chilometri tra casa e ufficio. Venticinque chilometri. Ho sempre pensato che fossero una distanza giusta, di quelle che vanno bene: il tempo di ascoltare sei o sette canzoni di un CD, a meno che non sia “Thick as a Brick” dei Jethro Tull, il tempo di una telefonata veloce della mamma, il tempo di mettere e togliere gli occhiali da sole quattro o cinque volte.

Ma non è questo che volevo dire.

Venticinque chilometri su strade di campagna ti danno modo di incrociare gatti spalmati sull’asfalto, puttane, ciclisti, camion che si chiamano Gianni, Armando, Mirko, Marko, trattori, Punto che si chiamano Enzo a sinistra e Cri a destra.

Ma non è questo che volevo dire.

Il fatto è che tutta questa roba qui quando, anziché incrociarla, te la trovi davanti, la sorpassi.

Ma non è questo che volevo dire.

Poi, una mattina, davanti a te riconosci la macchina di una collega, con la collega dentro. E la collega è una che non ti ha fatto niente, di quelle colleghe che a volte hai persino voglia di abbracciare tanto sono semplici e dolci e la collega ti fa ciaociao con la manina guardando nello specchietto. E tu non te la senti proprio di sorpassare perché non vuoi che lei pensi di fare schifo alla guida, che poi è così, ma non ti va proprio che sia tu a farglielo pensare. E quindi rallenti, rispondi al saluto, sorridi, alzi il volume della radio e ti ci rilassi persino su quel sedile. E vedi che gli alberi da frutto sono fioriti. E quando arrivi in ufficio hai un motivo in più per aver voglia di abbracciarla, la tua collega.

Ecco, lo avrei detto subito quello che volevo dire se non mi aveste interrotta ogni due chilometri!

mercoledì 7 aprile 2010

Chiama quando vuoi

Mi mancherai, già lo so.
Mi mancherà la tua presenza e ripenso anche alle volte in cui avevo bisogno di te, ti cercavo e non ti trovavo mai.
Penso alle volte in cui mi hai dato un riparo e da te mi sono sentita protetta.
Alle volte che puzzavi di piscio.
A tutte le influenze, le mononucleosi, i raffreddori e chissà cos’altro mi sono beccata a causa tua.
Penso a quante ore di conversazione mi hai regalato.
Ricordi quella volta, il primo bacio?
Tra l’altro, non te l’ho mai detto ma qualche volta ti ho rubato degli spiccioli.
E poi, sì, quella volta che ho accettato di cederti a qualcuno per una sveltina. Però sembrava davvero disperata.
E tutte le volte che ho aspettato io il mio turno, in silenzio, per arrivare a te? Anche solo due minuti. Anche solo per un saluto veloce.

Mi mancherai, già lo so, cara vecchia cabina telefonica.

Ah, un’ultima importantissima co

Fanculo, ho finito i gettoni...

sabato 3 aprile 2010

Come preparare l’agnello Pasquale

Acquistate una pecora già gravida, così vi levate il pensiero di doverla ingravidare voi. Tosate la pecora e con la lana ricavata preparate un morbido giaciglio per la stessa. Controllate l'ovino a vista affinché non ingerisca la RU-486 oppure trasferitevi in Piemonte. Attendete il tempo necessario. Alla nascita dell’agnello accertatevi che la pecora lo registri con il nome di “Pasquale”. Lavate Pasquale accuratamente e poi tosatelo. Nel frattempo procuratevi alcune copie, tante copie, de “Il Giornale” e de “L’Avvenire”, vi serviranno per preparare il fuoco. Aggiungete della legna e attendete il formarsi della brace.
Attirate Pasquale a voi con un trucco. Vi avverto, una piccola pecora non funzionerà: del resto Pasquale non è un uomo e neppure un prete. Fatto ciò legategli le zampette posteriori e quelle anteriori e appendetelo allo spiedo. Dopo qualche minuto smetterà di lamentarsi per il calore. Ultimate la cottura e servitelo su un piatto da portata, accompagnato da patate e carote a volontà.
Oppure rivolgetevi a un buon macellaio cattolico: farà tutto questo per voi evitandovi il senso di colpa.

Per aver acquistato delle copie de “Il Giornale” e de “L’Avvenire”, intendo.

Buon Pasquale.